Il Muro

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La caduta del muro di Berlino è il fatto storico, l'evento pubblico che durante la vita mi ha commosso di più. Non piango mai, non è nella mie corde, ma quando sento una rievocazione o, come in questi giorni di ventennale, vedo o ascolto una registrazione di quel giorno, mi prende subito un nodo in gola e un fortissimo impulso a piangere. Le voci e i volti dei berlinesi che dicono: abbiamo ogni cosa, il lavoro, la famiglia, la casa, anche la macchina (ridendo, perché si trattava per tutti della Trabant, una mezza macchina), ci mancava la libertà. Libertà di viaggiare, di dire quello che pensiamo, di stampare opinioni senza censura.

Per questa libertà quasi ogni giorno qualcuno aveva rischiato o perduto la vita in un tentativo di fuga, escogitando gli espedienti più fantasiosi. Dal 1961 al novembre '89 la radio e la tv ci avevano turbato con queste notizie. 

Ora un fiume di persone passava all'ovest in un simbolico pellegrinaggio, per tornare indietro dopo poche ore, festeggiando insieme e mostrando come sembra enorme il valore della libertà a chi non la possiede.

I cunicoli sotto il muro, i doppifondi nelle Isette, le mongolfiere studiate per attraversare il confine  fatidico, sarebbero diventati materia per lo struggente museo del Charlie Point.

A quanto pare, andò così: il giornalista (italiano) Ehrmann, al portavoce del governo dell'est, Tchiabosky, che in un incontro con la stampa durante le manifestazioni popolari prometteva più libera circolazione verso l'ovest, ripete con tono energico la domanda "Quando?" Forse per cavarsela, intimorito dalla folla  minacciosa che da giorni protestava o forse dando seguito a informazioni appena avute, estrae un biglietto da una tasca e come leggendolo, Tchiabosky risponde "Subito".

Ehrmann, che forse aveva saputo da rapporti confidenziali con pezzi grossi della DDR, che la situazione per il cedimento era matura, è portato in trionfo dalla gente. Sono momenti indescrivibili e che nessuno avrebbe immaginato. Sebbene altri problemi si siano affacciati sul palcoscenico politico mondiale, la partecipazione e la gioia di quel momento restano intatti e la commozione che si rinnova al ricordo è un grande stimolo all'ottimismo. Strano, piuttosto, che molti, in Europa e ancor più in Italia, e proprio tra gli intellettuali, abbiano l'ostinazione di difendere e aderire a un pensiero che si rifà, addirittura esplicitamente, al Comunismo sovietico, una realtà tanto lontana dall'utopia socialista. Possibile che siano in buona fede?


Francesco Dallera 1989

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